«È impegno arduo conferire il senso
della novità a ciò che è antico,
autorità a ciò che è recente,
nitore a quello che è negletto,
significato a ciò che appare di difficile comprensione,
attrattiva a ciò che annoia,
fondamento a ciò che è incerto,
riattribuire insomma a ciascuna cosa la sua natura e quanto le è proprio».
Plinio, Naturalis Historia
Nel corso degli ultimi quattro anni Fragmenta ha affrontato temi di ricerca complessi e variegati, dall’archeologia all’architettura, dalla scultura alle arti applicate, dal restauro alla fotografia per la storia dell’arte. Abbiamo cercato di selezionare saggi che considerassero con attenzione il contesto sociale e culturale nei quali queste espressioni artistiche sono nate. La stessa attenzione ha orientato la nostra scelta di presentare pubblicamente gli studi nei luoghi e nei territori in cui sono stati condotti, permettendo così alla comunità di partecipare attivamente, riscontrando vivo interesse e curiosità. Questo approccio è fondamentale perché le espressioni artistiche non sono mai fenomeni isolati, ma manifestazioni che si nutrono e si alimentano del contesto ove vedono la luce. Comunicare e valorizzare un patrimonio così ricco e stratificato come quello italiano è oggettivamente molto complesso ma il ruolo precipuo della ricerca è proprio questo.
Noi abbiamo scelto di farlo attraverso una rivista scientifica che, parafrasando le parole del prof. Giovanni Carlo Federico Villa, è uno strumento fondamentale per la nostra cultura perché consente a tutti gli studiosi, giovani o affermati, di creare quella base di conoscenza che poi diventerà divulgazione e che, sedimentandosi, creerà sensibilità e volontà di conservazione in un territorio, come quello italiano, sempre più fragile.
In occasione della presentazione del terzo numero di Fragmenta, proprio il prof. Villa ci aveva invitato a riflettere sul ruolo cruciale della cultura e della conoscenza nel preservare l’identità e la memoria storica di una comunità con un intervento, non a caso, intitolato ‘Dal testo al contesto’. Il mondo dell’arte e della cultura, più in generale, stanno attraversando un momento di crisi e trasformazioni senza precedenti. In questo contesto, anche una rivista di ricerca storico-artistica può rappresentare un decisivo avamposto per il legame profondo
che è capace di creare tra un territorio e la sua cultura. La sfida, dunque, è nella capacità di tradurre la complessità del passato in narrazioni comprensibili e accessibili al pubblico contemporaneo. È qui che una rivista scientifica può svolgere un ruolo chiave, parallelamente a quello demandato ai musei, alle università e alle associazioni culturali: fungere da
ponte tra storia e società, tra esperti e cittadini, favorendo un dialogo che riaccenda l’interesse verso il patrimonio culturale. «Una rivista di storia dell’arte – per usare le parole del prof. Villa - ha dentro di sé tante storie che ci aiutano a creare una storia più grande, ma soprattutto ci riportano a quello che è il senso profondo della nostra Costituzione».
Nell’Italia del dopoguerra, i padri e le madri costituenti seppero essere così saggi e lungimiranti da includere, tra i princìpi fondamentali della futura nazione, il paesaggio e l’arte, e non – come ci ricorda Tomaso Montanari – «per farci qualche soldo, consumandoli (come avrebbe poi voluto la fatale dottrina del petrolio d’Italia, fiorita nei frivoli, e insieme plumbei, anni Ottanta), ma per farne, attraverso la ricerca e la conoscenza, uno strumento di costruzione di una comunità nuova».
Negli ultimi anni, una preoccupante involuzione ha caratterizzato la gestione del patrimonio culturale; la perdita di conoscenza, la diminuzione delle risorse e la cesura tra il patrimonio e il
pubblico sono segnali allarmanti di una crisi che potrebbe divenire profonda. È fondamentale, dunque, ripensare le strategie di comunicazione e valorizzazione del patrimonio, promuovendo una sempre maggiore collaborazione tra istituzioni, studiosi e comunità. Dobbiamo considerare il nostro patrimonio culturale come un “museo vivente” e promuovere
una visione ottimistica e proattiva per il futuro. In quest’ottica la rivista Fragmenta non è solo un mezzo di diffusione di conoscenze, ma anche un progetto – certamente ambizioso – che mira a risvegliare la coscienza culturale e storica di tutta la comunità. È un appello a tutti noi.
Per usare ancora le parole del prof. Villa, «investire nella cultura, nella conoscenza e nella valorizzazione del nostro patrimonio culturale è un investimento per il futuro di tutti».
In questo quarto numero Fragmenta presenta otto saggi di ricerca che toccano molteplici aspetti del Patrimonio artistico attinenti al Trevigiano.
La rivista apre con un contributo che fa luce su Treviso altomedievale, una fase storica poco indagata a causa delle esigue fonti. Se Carlo Magno decide di festeggiare in questa piccola città ricca d’acque la Pasqua del 14 aprile 776, possiamo immaginare che Treviso ricoprisse un ruolo strategico e commerciale significativo. Indagini archeologiche e materiale numismatico, infatti, hanno permesso una nuova lettura storiografica che racconta i 150 della dominazione carolingia, quando Treviso era l’unica città in area veneta che aveva la zecca. I denari d’argento coniati sono stati ritrovati anche oltralpe, lungo gli assi viari-commerciali dei fiumi Loira e Reno, fino agli importanti empori commerciali nei Paesi Bassi; ma oltre agli intensi rapporti con il mondo transalpino, il porto permetteva un costante collegamento con il Mediterraneo orientale, ed è in questo clima che si registra un’espansione dell’abitato.
Cambiando completamente registro le pagine che seguono portano a intrecciare, in declinazioni diverse, l’ambiente artistico rinascimentale, fino ad arrivare al Novecento.
Dall’analisi degli scritti di Luigi Coletti, noto storico dell’arte trevigiano, è possibile ripercorrere la formazione della lettura critica e letteratura artistica dedicata a Paolo Veronese. A partire dai primi studi dedicati agli affreschi di Villa Maser, per poi concentrarsi su vari dipinti dell’artista, fino a sfociare al manierismo, Coletti svela Veronese; le sue indagini hanno svolto un ruolo fondamentale per la riscoperta di un pittore cardine per l’evoluzione della storia della pittura veneta. Nelle pagine successive si passa alla storia dell’architettura: lungo lo stradone del bosco ai piedi del Montello, sorgeva un tempo palazzo Bressa, il “Magnifico Palazzon”, demolito nel corso del XIX secolo. Del complesso si è conservata solo l’imponente barchessa, ma dall’analisi di fonti scritte, documenti e cartografia storica, viene proposto uno studio su tale patrimonio architettonico andato perduto, eretto nella seconda metà del Cinquecento e a cui mise mano nel Settecento anche l’architetto Giorgio Massari. Uno spaccato di vita in villa tra storie famigliari, eleganti architetture e opere d’arte, viene presentato in un saggio dedicato a Villa Manfrin (oggi Margherita) edificata nel Settecento su disegno dell’architetto Giannantonio Selva e all’adiacente villa Farsetti-Ravà (villa Bice), costruita nella
seconda metà del Settecento, forse su disegno dell’architetto dilettante Andrea Zorzi, in un’area a pochi passi dal centro storico di Treviso. Le ville, nell’Ottocento, passarono di proprietà alle famiglie ebree veneziane Levi, anche se di due rami diversi. Di questi luoghi di villeggiatura, orticoltura e di musica, vengono illustrate, parallelamente alle vicende famigliari, gli interventi architettonici e artistici che interessano gli edifici, dettati dalla grande sensibilità e cultura dei proprietari.
Questo numero di Fragmenta apporta anche un importante contributo alla conoscenza di un pittore belliniano, che ha un catalogo piuttosto esiguo e la cui identità è stata riconosciuta solo negli anni settanta del Novecento: Luca Antonio Busati, autore dell’Incredulità di San Tommaso, dipinto posto sull’altare della cappella degli Apostoli della chiesa di San Nicolò di Treviso. Dell’opera cardine dell’artista, realizzata nel primo ventennio del Cinquecento, viene qui proposta un’attenta lettura iconografica che parte dall’analisi del soggetto religioso inconsueto, soffermandosi poi sulle figure ritratte, riconoscendo il committente e ruolo degli altri personaggi, permettendo così un’interpretazione organica che intreccia la puntuale
osservazione del dipinto alla documentazione archivistica. Un secondo saggio propone l’aggiunta al catalogo di Busati di un piccolo dipinto in collezione privata trevigiana, raffigurante un’Ultima cena che si richiama al celebre prototipo di Leonardo Da Vinci. Segue, all’attenta argomentazione della proposta attributiva, un’analisi della scarsa e tardiva diffusione in area veneta del modello iconografico leonardesco, che appare invece evidente nel dipinto in oggetto. L’attenzione si sposta poi sulle opere orafe e scultoree di un’artista di inizio Novecento a oggi poco indagato, Antonio Gentilin. Di origini veneziane ma trevigiano d’adozione, particolarmente prolifico, vede gli esordi come artigiano artistico, specializzandosi poi nella lavorazione dei metalli preziosi e nell’incisione di monete e medaglie. Si dedica particolarmente alla produzione di oggetti liturgici per le chiese della città di Treviso e per le parrocchie della provincia, giungendo al suo apice con la commissione del Paliotto per l’altare maggiore del duomo trevigiano. A consentire la disamina dell’attività di Gentilin è la recente scoperta
di un fondo di opere in collezione privata, che va ad integrare il corpus di lavori già noti destinati a committenze religiose, pubbliche e private. L’ultimo saggio ripercorre alcuni interventi di restauro delle chiese di Santa Lucia e San Vito di Treviso, a opera dei Botter, famiglia di restauratori particolarmente nota in città. Inedite fonti archivistiche permettono di ripercorrere i vari cantieri che si sono succeduti nella prima metà del Novecento, lo scoprimento di preziosi affreschi e le scelte metodologiche ed esecutive intraprese in particolare da Mario Botter, aggiungendo un tassello alle già conosciute attività di restauratore ma anche di decoratore.
Proponiamo in queste pagine tante ‘piccole storie’ che hanno l’ambizione di contribuire a Fragmenta. Dal testo al contesto creare la ‘grande storia’ del Patrimonio culturale della comunità, portando avanti la conoscenza per attivarne la tutela, perché il nostro Patrimonio possa così giungere alle generazioni future.
Rossella Riscica
Aniello Sgambati
Chiara Voltarel
Comitato di redazione
Andrea Simionato
Direttore editoriale
SAGGI PUBBLICATI NEL QUARTO NUMERO DI FRAGMENTA
“Ad Tarvisium civitatem veniens”. Treviso e il suo territorio da Carlo Magno a Berengario I
Leonardo Sernagiotto
ABSTRACT
L’immagine della Treviso carolingia è rimasta a lungo oscurata dalla rarefazione delle fonti a disposizione, scarne nel numero e avare nel fornire informazioni utili a ricostruire il profilo della città nell’Alto Medioevo. Grazie tuttavia a recenti scavi archeologici in ambito urbano, è possibile integrare le informazioni ricavabili dalla documentazione scritta, definendo meglio le caratteristiche di una Treviso che, superata una prima fase di occupazione militare, vide per il IX secolo un periodo di sviluppo e ampliamento urbano, nonostante l’evanescenza del potere pubblico. Importante sbocco carolingio verso il mar Adriatico, Treviso, insieme al suo territorio, fungeva da crocevia tra le diverse aree economiche e culturali del mondo altomedievale, spaziando dal Vicino Oriente al mare del Nord. Il contributo vuole dunque indagare i 150 anni di dominazione carolingia, coniugando il dato archeologico e numismatico con i recenti indirizzi storiografici inerenti i secoli altomedievali.
The image of Carolingian Treviso has long been obscured by the scarcity of available sources, which are few in number and meager in providing useful information to reconstruct the profile of the city in the early Middle Ages. However, thanks to recent archaeological excavations within the urban area, it is possible to supplement the information gleaned from written documentation, better defining the characteristics of a Treviso that, after an initial phase of military occupation, experienced a period of development and urban expansion in the 9th century, despite the evanescence of public power. An important Carolingian outlet to the Adriatic Sea, Treviso, along with its territory, served as a crossroads between various economic and cultural areas of the early medieval world, spanning from the Near East to the North Sea. This contribution aims to investigate the 150 years of Carolingian domination, combining archaeological and numismatic data with recent historiographical trends related to the early medieval centuries.
Paolo Veronese secondo Luigi Coletti. Dai Paesi di Maser a La crisi manieristica nella pittura veneziana
Federica Stecca
ABSTRACT
Paolo Veronese fu oggetto di riflessioni da parte di Luigi Coletti in due momenti distinti della sua carriera di storico dell’arte, offrendo alla critica importanti spunti per la riscoperta di uno dei massimi esponenti della pittura veneta cinquecentesca, a partire dagli studi sui paesi veronesiani dipinti all’interno di Villa Barbaro Volpi a Maser. I suoi ragionamenti, ampliati con nuovi dettagli a ogni intervento pubblicato, furono al centro di dibattiti artistici e usati come fonte principale sul tema negli scritti di illustri studiosi fino alla metà del secolo scorso. Le informazioni ricavate dai documenti perlopiù inediti del Fondo Coletti di Fondazione Benetton Studi Ricerche, riordinate utilizzando testi coevi e più recenti e missive da altri fondi, hanno restituito una pagina poco nota dell’attività del professore, confermando la validità delle sue idee per gli studi storico-artistici novecenteschi e la grande stima riconosciutagli dal mondo scientifico dell’epoca.
Paolo Veronese was the subject of reflections by Luigi Coletti at two distinct moments in his career as an art historian, providing critics with important insights for the rediscovery of one of the greatest representatives of sixteenth-century Venetian painting, starting with studies on the Veronese landscapes depicted within Villa Barbaro Volpi in Maser. His arguments, expanded with new details with each published intervention, were at the center of artistic debates and served as a primary source on the subject in the writings of prominent scholars until the mid-twentieth century. The information derived from mostly unpublished documents from the Coletti Archive of the Benetton Studies and Research Foundation, reorganized using contemporary and more recent texts and letters from other archives, has revealed a little-known chapter of the professor’s activity, confirming the validity of his ideas for twentieth-century art historical studies and the great respect he received from the scientific community of that time.
Il “Magnifico Palazzon” dei Bressa: la barchessa di Selva del Montello e una possibile ricostruzione della villa perduta
Alice Andreos
ABSTRACT
La barchessa di Selva del Montello faceva originariamente parte del complesso di Lavajo che includeva il Palazzon, una sontuosa residenza demolita nel corso del XIX secolo e appartenuta alla nobile famiglia dei Bressa. A partire dall’analisi di fonti scritte, documenti e cartografia storica, si propone uno studio su tale patrimonio architettonico andato perduto, sulla base anche del confronto con edifici attribuiti con certezza all’architetto Giorgio Massari; è infatti al maestro veneto che lo storico Alessandro Saccardo attribuisce il riadattamento di inizio XVIII secolo del Palazzon e della superstite barchessa. Inoltre, nuove riflessioni relative ai passaggi di proprietà che hanno interessato il complesso nel corso della sua storia sono state condotte sulla base di un attento confronto tra mappe storiche ed estimi di riferimento.
The Barchessa Bressa-Loredan, built at the end of the 15th century in Selva del Montello, originally formed part of the Lavajo complex, which included the “Palazzon,” a sumptuous residence demolished in the 19th century that belonged to the noble Bressa family. Originating from the city of Brescia, the Bettignoli-Bressa family settled in Treviso in 1326 and were enrolled in the College of Nobles established for the city in 1389. Since the end of the 15th century, the family owned extensive estates between Volpago and Selva del Montello. Based on an analysis of written sources, documents, and historical cartography, a study is proposed on this lost architectural heritage, drawing comparisons with buildings confidently attributed to the architect Giorgio Massari; it is indeed to the Venetian master that historian Alessandro Saccardo attributes the adaptation of the Palazzon and the surviving barchessa at the beginning of the 18th century. Furthermore, new insights regarding the property transfers that have affected the complex throughout its history have been conducted based on a careful comparison of historical maps and reference assessments.
Vita in villa a Sant’Artemio di Treviso tra fine Ottocento e primi Novecento: frammenti di storie familiari a villa Manfrin (oggi Margherita) e a villa Farsetti-Ravà
Francesca Graziati
ABSTRACT
Villa Manfrin (oggi Margherita) fu edificata verso la fine del Settecento su disegno dell’architetto Giannantonio Selva e nel periodo 1859-1896 fu di proprietà delle famiglie ebree veneziane Levi Mondolfo e Levi; fu luogo di villeggiatura, di orticoltura e di musica, in particolare grazie a Giacomo Levi, banchiere della ditta di famiglia Jacob Levi e figli. L’adiacente villa Farsetti-Ravà (villa Bice), edificata nella seconda metà del Settecento forse su disegno dell’architetto dilettante Andrea Zorzi, per il nobile veneziano Giuseppe Tommaso Farsetti e poi passata in proprietà alla famiglia Felissent, appartenne dal 1886 fino agli anni Sessanta del Novecento a un altro ramo della famiglia Levi, quello di Cesare, cognato di Giacomo e comproprietario della banca Jacob Levi e figli; fu poi abitata dalla nipote Adriana Finzi, moglie del noto ingegnere Gino Vittorio Ravà.
Villa Manfrin (now Margherita) was built towards the end of the 18th century based on a design by the architect Giannantonio Selva. Between 1859 and 1896, it was owned by the Venetian Jewish families Levi Mondolfo and Levi; it served as a summer residence, a site for horticulture, and a place for music, particularly thanks to Giacomo Levi, a banker from the family firm Jacob Levi e figli (Jacob Levi & Sons). The adjacent villa Farsetti-Ravà (villa Bice), built in the second half of the 18th century, possibly designed by the amateur architect Andrea Zorzi for the Venetian nobleman Giuseppe Tommaso Farsetti, later passed into the ownership of the Felissent family, from 1886 until the 1960s, it belonged to another branch of the Levi family, that of Cesare, Giacomo’s brother-in-law and coowner of the Jacob Levi e figli bank; it was later inhabited by his niece, Adriana Finzi, wife of the renowned engineer Gino Vittorio Ravà.
La rassicurante promessa dell’Incredulità di san Tommaso
Nicola Bello
ABSTRACT
Nella chiesa trevigiana di San Nicolò, da più di cinquecento anni, L’Incredulità di San Tommaso decora l’altare della cappella degli Apostoli, che apparteneva alla commissarìa Monigo, istituita nel 1366 per distribuire denaro ai poveri della città. I critici che si sono occupati del dipinto hanno concentrato la loro attenzione sul tentativo di individuarne l’autore ma non risultano, a oggi, letture iconologiche approfondite. Perché è stato scelto proprio questo inconsueto soggetto religioso? Qual è il legame tra l’allegoria sacra che occupa la maggior parte dello spazio e le figure in primo piano? Chi e cosa rappresentano? Questo studio propone un’interpretazione organica dell’Incredulità, confrontando l’iconografia del dipinto con documenti superstiti della commissarìa Monigo, atti notarili, fonti coeve e ricerche sul primo Cinquecento a Treviso.
For over five centuries, The Incredulity of Saint Thomas has adorned the altar of the Chapel of the Apostles in the Treviso church of San Nicolò. This chapel belonged to the commissarìa Monigo, an institution established in 1366 to distribute money to the city’s poor. While scholars have largely focused on attributing the painting to a specific artist, no in-depth iconological analysis has been conducted to date. Why was this unusual religious subject chosen? What is the connection between the sacred allegory that dominates the composition and the figures in the foreground? Who are they, and what do they represent? This study offers a comprehensive interpretation of The Incredulity, comparing its iconography with surviving documents from the commissarìa Monigo, notarial records, contemporary sources, and research on early sixteenth-century Treviso.
Un Cenacolo di Luca Antonio Busati e alcune osservazioni sulla diffusione del modello leonardesco in Veneto
Paolo Ervas
ABSTRACT
Si propone l’aggiunta al catalogo del pittore Luca Antonio Busati (testimoniato in Veneto ed Emilia Romagna dal 1510 al 1539) di un piccolo dipinto in collezione privata trevigiana raffigurante l’Ultima cena che si richiama al celebre prototipo leonardesco. Contestualmente all’argomentazione della proposta attributiva si prenderanno in considerazione alcune delle dinamiche attraverso le quali è avvenuta la ricezione del modello vinciano nella pittura veneta del Rinascimento.
The addition to the catalog of the painter Luca Antonio Busati (documented in Veneto and Emilia Romagna from 1510 to 1539) is proposed, featuring a small painting in a private collection in Treviso depicting the Last Supper, which refers to the famous Leonardo prototype. Alongside the argument for the attribution proposal, some of the dynamics through which the reception of the Vinci model occurred in Venetian Renaissance painting will be considered.
L’orafo e scultore Antonio Gentilin (1882-1966): artista e artigiano nella Treviso di primo Novecento
Matteo Mazzonetto
ABSTRACT
Nell’intenzione di riscoprire il campo della scultura e delle arti decorative del primo Novecento a Treviso, il seguente contributo propone l’analisi della figura di Antonio Gentilin (1882-1966). Di origini veneziane, ma trevigiano di adozione, si formò dapprima a Vicenza e poi a Roma, specializzandosi nella lavorazione dei metalli preziosi e nell’incisione di monete e medaglie. La maggior parte della sua attività artistica si concentrò nella produzione di oggetti liturgici per le chiese della città di Treviso e per le parrocchie della provincia, giungendo al suo apice con la commissione del Paliotto per l’altare maggiore del duomo trevigiano. In qualità di orafo si distinse nel trattamento di metalli e pietre preziose. Grazie allo studio rivolto ai manufatti conservati in una collezione privata trevigiana, la sua vasta e prolifica produzione vuole essere qui sintetizzata attraverso l’analisi di alcune delle sue più pregiate realizzazioni. Alcune di queste esulano dalla committenza liturgica, evidenziando un’adesione da parte dello stesso Gentilin alle nuove correnti artistiche a cavallo tra Ottocento e Novecento.
In an effort to rediscover the field of sculpture and decorative arts from the early twentieth century in Treviso, the following contribution proposes an analysis of the figure of Antonio Gentilin (1882-1966). Originally from Venice but a resident of Treviso by adoption, he first trained in Vicenza and then in Rome, specializing in the working of precious metals and the engraving of coins and medals. Most of his artistic activity focused on the production of liturgical objects for the churches of Treviso and for parishes in the province, reaching its peak with the commission for the altar frontal of the main altar in Treviso Cathedral. As a goldsmith, he distinguished himself in the treatment of metals and precious stones. Through the study of works preserved in a private collection in Treviso, his vast and prolific output is summarized here by analyzing some of his finest creations. Some of these works fall outside the liturgical commissions, highlighting Gentilin’s engagement with the new artistic currents emerging between the nineteenth and twentieth centuries.
I Botter in Santa Lucia e San Vito a Treviso
Maria Sole Crespi
ABSTRACT
In occasione dei recenti restauri dell’apparato decorativo della chiesa di Santa Lucia sono emerse le decorazioni a fresco e a mezzo fresco, per lo più di carattere geometrico, ma talvolta anche figurativo, attribuite a Mario Botter, nascoste sotto lo scialbo marrone ocra steso dal restauratore Clauco Benito Tiozzo negli anni Settanta del Novecento. Considerate come documento dell’evoluzione culturale del restauro, in accordo con la Soprintendenza, si è deciso di recuperarle e di restaurarle. Assieme agli altri interventi nella Cappella del Redentore, di San Vito e alla decorazione delle due sacrestie, il ruolo dei Botter nelle chiese di Santa Lucia e San Vito risulta interessante e inedito. Si intende quindi, in questa breve indagine, che fa riferimento a nuove fonti archivistiche, aggiungere un tassello alle già note attività professionali di questa famiglia di artisti e restauratori che unirono sempre alla loro vasta attività professionale un forte impegno civile.
On the occasion of the recent restorations of the decorative apparatus of the Church of St. Lucia, the frescoes and semi-frescoes – mostly geometric in nature but sometimes figurative – attributed to Mario Botter were uncovered. These had been hidden under a brown/ochre wash applied by Glauco Tiozzo in the 1970s. Considered a document of the cultural evolution of restoration, it was decided, in agreement with the Superintendency, to recover and restore them. Alongside other interventions in the Chapel of the Redeemer, St. Vito, and the decorations of the two sacristies, the role of the Botters in the churches of St. Lucia and St. Vito proves to be both interesting and previously unexplored. This brief investigation, which refers to new archival sources, aims to add a piece to the already known professional activities of this family of artists and restorers, who consistently combined their extensive professional work with a strong sense of civic responsibility.