Il cemento ideale di una comunità è
formato dalla coscienza della propria
cultura e dalla capacità che abbiamo di
conservarla e di accrescerla.
Ludovico Magrini
Come ci insegnano da tempo immemore gli antichi, per costruire una buona struttura bisogna sempre partire da solide fondamenta; quelli che un tempo erano legni, sassi o mattoni, oggi sono ferro e cemento, ma il fine resta lo stesso: sentirsi al sicuro, che sia sotto il tetto di una casa o sull’impalcato di un ponte. Quando, ormai quattro anni fa, è partita l’avventura di Fragmenta ci siamo proposti innanzitutto di provare a costruire delle fondamenta solide, per stimolare una rinnovata coscienza civica di tutela e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e archeologico trevigiano. Gli strumenti che abbiamo scelto sono la raccolta e la condivisione di ricerche inedite e originali, sempre vagliate con rigore scientifico, perché per proteggere e conservare la cultura serve innanzitutto conoscerla.
Nonostante tutto questo sia iniziato in piena pandemia, in un periodo difficile nella vita di tutti, l’essere riusciti a pubblicare un primo numero nel 2021, in condizioni complicate, ci ha fatto capire che con la volontà e la passione, un piccolo mattone dopo l’altro, si possono raggiungere grandi risultati e costruire una struttura solida per raccogliere, accogliere e conservare tanti frammenti di sapere.
Certamente la nostra rivista è ancora giovanissima e sta muovendo ancora fiduciosa i primi (ma non più primissimi) passi, intraprendendo con entusiasmo questa avventura ambiziosa e stimolante. Ci hanno guidati fin dall’inizio la ricerca della qualità e la speranza che tutto il lavoro, nostro ma soprattutto di tutte le persone che contribuiscono con passione e altruismo a ogni singolo numero, possa essere fonte di arricchimento e di condivisione di cultura per tanti appassionati.
Inutile nascondere che il percorso che ci ha portati fin qui è stato in qualche punto accidentato, ci ha visti inciampare, ci ha visti sbagliare (a volte anche ingenuamente) ma presto anche risollevarci, facendo tesoro di queste esperienze, di alcuni errori che certamente si sono rivelati utili ad acquisire maggior sicurezza e competenza in merito ad aspetti a noi meno noti.
Finora abbiamo pubblicato ventisei saggi inerenti alle varie le tematiche che la nostra rivista contempla – storia dell’arte, architettura, archeologia, restauro, economia dei beni culturali –, scritti da trentuno studiosi che ci hanno generosamente affidato le loro fatiche perché ne avessimo cura, mettendole quindi a disposizione di chi ne fosse interessato. Hanno creduto in noi studiosi di grande esperienza, professionisti, ma anche giovani brillanti che gravitano nell’ambiente accademico. Ci siamo avvalsi del prezioso e insostituibile aiuto di quarantotto revisori, scegliendoli tra docenti universitari, funzionari di Soprintendenza, dirigenti di musei o grandi esperti di specifici temi di volta in volta affrontati. Un cammino che ha trovato sostegno nel nostro autorevole comitato scientifico, che non finiremo mai di ringraziare.
Crediamo, dunque, di aver gettato le basi per solide fondamenta, oggi costituite da tre ricchi numeri. Ma il nostro progetto editoriale non si ferma alla pubblicazione, perché sin da subito abbiamo ritenuto importante proporre incontri pubblici itineranti, nei quali gli autori espongono i risultati, le acquisizioni scientifiche, gli aspetti critici e metodologici delle loro ricerche. Una comunicazione orale che, seppur sinteticamente, presenta gli studi alla comunità scientifica e ai tanti interessati, stimolando il dibattito e il confronto critico. Iniziative, queste, particolarmente apprezzate, che hanno riscosso ampio interesse, permettendo di tessere una fitta rete di contatti nell’ambiente culturale e di avvicinare numerosi appassionati che hanno manifestato la loro stima e il loro sostegno morale al progetto “Fragmenta”.
In tanti ci hanno aperto le sale e offerto ospitalità per dar voce e anima alle pagine della rivista; Fragmenta ha voluto spaziare nel territorio, coinvolgendo istituzioni pubbliche e private, come archivi, biblioteche, fondazioni, associazioni culturali di varia natura: numerose le presentazioni a Treviso in varie sedi, quindi a Vedelago, Villorba, Oderzo, Trevignano, Nervesa della Battaglia, Crocetta del Montello, fino ad arrivare anche a Pieve di Cadore. Ma nuove tappe si aggiungeranno per illustrare anche le ricerche raccolte in questa nuova pubblicazione.
Il numero 3 di Fragmenta raccoglie una rosa di dieci contributi inediti.
Si parte scavando e leggendo il territorio urbano di Treviso, partendo dagli antichi insediamenti e raccontando una storia della quale a oggi scarseggia la letteratura o un’analisi sistematica. Mettendo in relazione i dati disponibili, viene così proposta l’evoluzione topografica della città tra tarda Antichità e basso Medioevo.
Se nel primo saggio si fa riferimento alle più antiche fortificazioni di Treviso, si passa poi a quelle rinascimentali, considerate un unicum, un sistema composto da mura, bastioni, terrapieni, strutture ipogee e fossati, che si spera venga presto sottoposto a dichiarazione di interesse culturale da parte del Ministero della Cultura e per il quale sono state avviate da pochissimo le procedure per il restauro e la valorizzazione. Incastonata nella complessa fortificazione, spicca Porta San Tomaso, concepita in modo innovativo e straordinario: in queste pagine vengono sviscerati interessati e sorprendenti aspetti che riguardano arte militare, architettura e tecnologia del Cinquecento.
Proprio in quegli anni la città assume anche un aspetto raffinato e vivace, le facciate si impreziosiscono di apparati pittorici che contribuiscono a far diventare Treviso l’urbs picta per eccellenza: in questo contesto si inserisce anche la facciata recentemente riscoperta in via Ortazzo, nel cuore del centro storico, analizzata in queste pagine attraverso una attenta ricerca di archivio e grazie alla relazione sugli interventi di restauro che hanno permesso di restituirla nella sua policromia.
Un’altra questione, balzata agli onori della cronaca attuale, è la tutela del patrimonio architettonico del primo Novecento della città. Recenti numerosi interventi edilizi su edifici proprio di quell’epoca, suffragati dalla mancanza di conoscenza storico-artistica, hanno purtroppo compromesso l’identità architettonica dei quartieri tipica del periodo. Iniziamo qui a presentare alcuni casi che, per le loro caratteristiche architettoniche nonché per motivi storici o perché progettati da architetti di chiara fama, meritano di essere conosciuti e tutelati, quando non già irrimediabilmente perduti.
Passiamo poi a un illustre cittadino, il ragionier Nando (Ferdinando) Salce che diciottenne, nel 1895, iniziò a raccogliere manifesti pubblicitari, costituendo la più importante collezione italiana e tra le maggiori d’Europa – composta di circa 25.000 pezzi – donata nel 1962 con lascito testamentario allo Stato Italiano, ora diventata Museo nazionale Collezione Salce. La soffitta della sua casa in Borgo Mazzini era diventata una vera e propria wunderkammer, dove disponeva tutti quei fogli secondo un complicato sistema. Gli studi hanno dimostrato come fosse perfettamente allineato e inserito in un ambiente culturale modernissimo. L’affiches era, infatti, fino a quel momento, un prodotto francese; le strade di Parigi all’inizio del ’900, erano tappezzate di manifesti, una moda che aveva portato al fenomeno dilagante della affichomanie; ma come riuscì Nando, vivendo in una piccola città di provincia, assolutamente fuori dai circuiti, a raccogliere questo grande e straordinario patrimonio di arte grafica? A spiegare alcune dinamiche è la sua corrispondenza, in particolare quella intercorsa con Edmond Sagot, il primo mercante d’arte contemporanea di Parigi, specializzato in stampe e manifesti, re dei mercanti di affiches.
L’arte contemporanea è presente in questo numero anche con due grandi artisti del Novecento: Arturo Martini e Gino Rossi, amici nati o vissuti nel trevigiano, ai quali sono dedicati due saggi che analizzano i loro periodi e lavori finali. Il primo fa luce sull’ultima monumentale impresa dello scultore trevigiano, Il Palinuro, oggi collocato ai piedi dello Scalone del Sapere di Palazzo del Bo, sede dell’Università degli Studi di Padova. Il recente restauro e una puntuale ricerca archivistica hanno permesso di ripercorrere la storia di questa importante scultura, dalla gestazione da parte del maestro, passando per la sua creazione, fino all’attuale posizionamento. Di Rossi, invece, viene analizzato un inedito corpus di disegni degli anni in cui l’artista era ricoverato in manicomio. Figure, teste, dettagli di corpi tracciati con i pochi strumenti che aveva a disposizione su carte di varia natura, tutte da riciclo. Negli oltre cento fogli ritrovati si riconoscono citazioni di opere che aveva realizzato precedentemente ma anche nuovi studi, una varietà di opere grafiche che possono documentare le battute finali della personale ricerca di un ancora poco conosciuto e valorizzato Gino Rossi.
Ampliando lo sguardo sul territorio è doveroso occuparci delle ville che vi sorgono numerose; nell’occasione si svelano nuovi inediti aspetti che interessano villa Revedin Bolasco, emersi dalla corrispondenza intercorsa tra il nobile proprietario e il suo architetto di fiducia, Giovanni Battista Meduna. Di particolare interesse sono le missive in cui si fa riferimento ai lavori per la sala da ballo, ripercorrendone la realizzazione architettonica e l’apparato decorativo, e alcuni riferimenti a un ancora misterioso piccolo teatrino. Non sono, come sappiamo, casi isolati: la passione per le rappresentazioni musicali e teatrali spinge i patrizi veneziani a dotare i loro palazzi di entroterra di sale da ballo, pensiamo ad esempio a Salvatore Orsetti, che a cavallo tra Sei e Settecento, fa costruire nel suo palazzo lungo il Sile (oggi Palazzo Giacomelli) un’elegante sala da ballo con ballatoio, impreziosita dagli affreschi di Louis Dorigny; più tardi, alla fine del Settecento, Isabella Teotochi Albrizzi, invece, vuole nella barchessa sud della villa di Preganziol (oggi Villa Franchetti) un teatrino che poteva accogliere circa ottanta persone.
Il legame con la Serenissima e la forte commistione di culture che per secoli si viveva nel territorio sono avvalorati dalla presenza di un curioso manufatto islamico nelle collezioni civiche di Asolo. Attorno a un bruciaprofumi sferico nascono diverse ipotesi che indagano possibili contatti e proprietari, tra i quali l’affascinate Caterina Cornaro, Regina di Cipro e Signora di Asolo.
In chiusura si propongono interessanti riflessioni sulla fotografia al servizio dell’arte. Nelle riviste come quella che abbiamo tra le mani, ma anche in cataloghi e pubblicazioni d’arte, le immagini sono indispensabili per una maggior comprensione del testo; ma ancor prima i ricercatori per i loro studi hanno necessità di poter consultare la riproduzione dell’opera, quanto più fedele all’originale. A oggi si conservano straordinari e cospicui fondi fotografici, come ad esempio quello dei Fratelli Alinari, quello dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini che raccoglie anche numerose fototeche personali di importanti studiosi come Giuseppe Fiocco e Rodolfo Pallucchini, o, per restare nel territorio, pensiamo al Foto Archivio Storico Trevigiano (FAST) che, tra i tanti, conserva i fondi di Luigi Coletti e di Giuseppe Mazzotti. Fin dalla sua invenzione, la fotografia non solo Il cemento ideale di una comunità ha cambiato l’arte, ma ha anche determinato il modo di leggerla, apprezzarla, conoscerla, conservarla e valorizzarla. Le fotografie sono diventate un prezioso supporto per gli storici dell’arte, così per i restauratori e per le varie figure professionali che si occupano di arte; sono indispensabili nella divulgazione, per illustrare pubblicazioni e riviste del settore. Lo studio qui pubblicato presenta un breve excursus storiografico a cui seguono precisi casi emblematici rispetto al rapporto tra fotografia, innovazione tecnologica e arte, proponendo poi dei confronti tra la fotografia in pellicola e quella digitale, comparando in particolare due campagne fotografiche realizzate a distanza di circa vent’anni sugli affreschi della pieve di San Pietro di Feletto, la prima da Elio e Stefano Ciol e la seconda dagli autori dello scritto.
Un numero di Fragmenta molto ricco, quindi, che raccoglie frammenti apparentemente differenti e scollegati, ma che in realtà sono tutti parte di un grande insieme che è la voglia di condividere e far conoscere ricerche inedite che nascono dalla stessa passione: la cultura dell’arte, nella più ampia accezione del termine, che, a volte faticosamente, cerchiamo di promuovere.
Fieri di questa nuova pubblicazione, possiamo affermare che oggi Fragmenta è pronta, sempre più forte del sostegno di tanti, ad affrontare nuove e costruttive sfide.
Rossella Riscica
Aniello Sgambati
Chiara Voltarel
Comitato di redazione
Andrea Simionato
Direttore editoriale
SAGGI PUBBLICATI NEL TERZO NUMERO DI FRAGMENTA
Treviso tra tarda Antichità e basso Medioevo: riflessioni e ipotesi a partire dall’analisi del dato storico e archeologico
Marco Vianello
ABSTRACT
Lo scopo del contributo è fare luce sull’evoluzione della topografia della città di Treviso relativamente a cronologie per cui i dati a disposizione risultano ancora poco consistenti. Se, tuttavia, le informazioni sono ancora insufficienti per consentire di elaborare un quadro completo in merito alla natura dell’insediamento nell’alto Medioevo, il periodo compreso tra la tarda Antichità e il Duecento sembra essere stato uno dei più significativi per l’evoluzione storica dell’abitato. Il dato archeologico sarà perciò vagliato per cercare di definire alcune ipotesi preliminari e di proporre alcuni spunti che, si auspica, possano indirizzare la ricerca in un futuro prossimo; questa disamina consentirà altresì di interrogarsi in modo critico sulla natura e l’efficacia della pratica archeologica condotta finora a Treviso, in vista di una maggior consapevolezza in seno ai processi di tutela e valorizzazione del patrimonio sepolto della città.
The aim of the paper is to shed a light on the evolution of the topography of the town of Treviso in relation to chronologies to which the available data is still not much significant: the information is still insufficient for a complete picture regarding the characteristics of the settlement in the early Middle Ages, nevertheless the period between late Antiquity and the thirteenth century seems to have been crucial to the historical evolution of the town. The archaeological data will therefore be examined to try to outline some preliminary hypotheses and to propose some ideas which, it is hoped, can guide research in the near future. This examination will also allow us to critically help questioning the nature and effectiveness of the archaeological practice carried out so far in Treviso, with a view to getting greater awareness within the processes of protection and valorisation of the buried heritage of the town.
Il bruciaprofumi sferico: un manufatto islamico alla corte di Caterina Cornaro
Silvia Andreatta
ABSTRACT
Esistono diversi esemplari di sfere bruciaprofumi conservati presso i maggiori musei del mondo occidentale; si tratta di oggetti di provenienza prevalentemente mediorientale, impiegati per la profumazione degli ambienti privati. La loro forma peculiare e la elaborata decorazione applicata li collocano nel vasto insieme di manufatti metallici islamici di valore, molti dei quali confluiti nei ricchi corredi delle residenze nobiliari. La sfera bruciaprofumi quattrocentesca conservata presso il Museo Civico di Asolo non è accompagnata da una documentazione che ci informi su un donatore o sulla sua data di ingresso nelle collezioni del museo; essa è tuttavia da sempre associata a Caterina Cornaro, Regina di Cipro e Signora di Asolo. Questo testo propone un’analisi dettagliata della sua preziosa decorazione e della sua funzione, a cui seguono alcune suggestive ipotesi di provenienza, secondo un percorso ideale che, originando dalle più lontane terre cipriote, raggiunge il territorio asolano.
There are several examples of spherical perfume burners preserved in the major museums of the Western world; these are objects of predominantly Middle Eastern origin, used to perfume private environments. Their peculiar shape and their elaborate applied decoration place them among the vast collection of valuable Islamic metal objects, many of which were included in the rich furnishings of noble residences. 1 The fifteenth-century spherical burner preserved in the Civic Museum of Asolo is not accompanied by documentation informing us about a donor or its date of entry into the museum collections; however, it has always been associated with Caterina Cornaro, Queen of Cyprus and Lady of Asolo. This text offers a detailed analysis of the sphere, its precious decoration and its function, followed by some suggestive hypotheses of provenance, according to an ideal path that originates from the most distant Cypriot lands and reaches the Asolo territory.
Porta San Tomaso a Treviso: ruolo e funzione all’interno del sistema fortificato cinquecentesco
Marley D'Amore
ABSTRACT
Osservando la geografia della città di Treviso, si nota come la porta di San Tomaso si trovi in una posizione piuttosto periferica rispetto al centro cittadino: tale area, oggetto di trasformazioni successive, si sviluppò infatti solo agli inizi del XVI secolo, in seguito ad alcuni drammatici interventi urbanistici che andarono a modificare l’edificato secondo un’ottica più moderna. La nuova porta di San Tomaso, ricostruita più a nord rispetto alla precedente, fungeva da avamposto per la difesa e gestione delle operazioni militari, ricoprendo un importante ruolo strategico: fu proprio in queste condizioni che, in linea con la sperimentazione militare del primo Cinquecento, la porta venne concepita in modo innovativo, rivoluzionando il modello stesso della porta urbica medievale. Il saggio propone una lettura del manufatto attraverso l’analisi della sua funzione all’interno del sistema fortificato trevigiano, evidenziando i caratteri moderni che lo rendono un esempio unico nel suo genere.
Observing the geography of the city of Treviso, we can see how the gate of San Tomaso is located in a rather peripheral position with respect to the city centre: this area, the object of subsequent transformations, was in fact developed only at the beginning of the 16th century, following some dramatic urban interventions that modified the building according to a more modern outlook. The new gate of San Tomaso, rebuilt further north than the previous one, served as an outpost for the defence and management of military operations, playing an important strategic role: it was under these conditions that, in line with the military experimentation of the early 16th century, the gate was conceived in an innovative way, revolutionising the same model of the medieval city gate. The essay proposes an interpretation of the artefact through the analysis of its function within the Treviso fortified system, highlighting the modern features that make it a unique example of its kind.
Un carteggio inedito (1852-1866) su villa Revedin Bolasco e il “piccolo teatrino” in Castelfranco Veneto e la sala da ballo del palazzo di Padova
Costanza Scarpa
ABSTRACT
Lo scritto intende analizzare, attraverso una serie di lettere inedite conservate presso l’archivio del Museo Correr di Venezia, il rapporto intercorso tra il conte Francesco Revedin e l’architetto Giovanni Battista Meduna nella progettazione di villa Revedin Bolasco a Castelfranco Veneto e di altri cantieri del territorio trevigiano e padovano. Grazie alle missive è possibile precisare la paternità del progetto di quel “misterioso” teatro fatto erigere dal nobile e finora solo citato nel testamento del conte. Inoltre, dal carteggio emerge un intervento di Meduna anche nella decorazione della sala da ballo del palazzo Revedin a Padova, mai preso in considerazione.
The paper analyses, through a series of unpublished letters stored in the Correr Museum Archive in Venice, the relationship between the count Francesco Revedin and the architect Giovanni Battista Meduna in the project of Villa Revedin Bolasco in Castelfranco Veneto. The correspondence is particularly interesting because it is now possible to identify the author of the project for the “mysterious” theatre commissioned by the nobleman and until now only mentioned in the count’s will. The letters also reveal an intervention by Meduna in the decoration of the ballroom of the Palazzo Revedin in Padua.
Tra gusto storicista e liberty: rinnovamento architettonico del centro storico di Treviso nel primo Novecento
Carolina Pupo
ABSTRACT
A partire dall’Unità si assiste a Treviso a una importante fioritura di interventi architettonici, nel centro storico e non solo. Numerosissime risultano le richieste alla locale Commissione Edilizia di “riduzioni” di edifici, intese ad ampliare le abitazioni o alzarle di un piano, trasformare locali al pianterreno a uso commerciale, spostare di sede porte e finestre. Con tali rifacimenti alcune facciate mantengono l’aspetto originario, altre vengono rivestite con motivi all’epoca in voga, dando vita a realizzazioni di gusto liberty e storicista, a opera di ingegneri, architetti, capomastri di affermata professionalità. Nell’insieme la facies urbana ne risulta sensibilmente rinnovata e aggiornata alla ‘modernità’. La ricerca si fonda su documentazione archivistica inedita e copre il periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e il primo quindicennio del Novecento.
Starting from the unification of Italy we assist to an important rise in number of architectonical interventions in the old town of Treviso and outskirts. Numerous were the requests to the local Building Authority for ‘reductions’ of buildings in order to make the existing houses bigger as well as rising up floor, building used later for trading purposes or simply relocate windows and doors. During those restoration works some façades maintained their original look, while the rest of them are clad with motifs that were in vogue at the time, giving rise to Art Nouveau and historicist creations by well-established engineers, architects and master builders. On the whole, the urban facies is considerably renewed and updated to ‘modernity’. The research is based on unpublished archival documentation and covers the period between the end of the 19th century and the first 15 years of the 20th century.
Gianluca Finco, Silvia Rizzato
ABSTRACT
L’urgenza di mettere in sicurezza la superficie intonacata di un’antica casa trevigiana è stata l’occasione per riportare alla luce un ciclo pittorico ad affresco ascrivibile, nella parte più antica, alla metà del secolo XV, mentre la più recente, a riquadri a finto marmo con fascia di sottotetto decorata, al primo decennio del secolo successivo. Un restauro che ha richiesto uno studio approfondito sia dei materiali utilizzati, mediante rilevamento dettagliato di tutta la superficie decorata, che delle tecniche da utilizzare per una corretta restituzione di una decorazione pressoché unica nel cuore del centro cittadino. A corredo di questo importante recupero, è stata realizzata la ricerca storico archivistica su un edificio la cui storia ha radici antiche, ben prima del XV secolo, e che è stato sede dell’antico Ospedaletto dei Santi Marco e Vittore.
The need to secure the plastered wall of an ancient house in Treviso led to the unveiling of a fresco cycle that is attributed in its oldest part to the mid-15th century, while the more recent sections, featuring faux marble panels with a decorated attic band, belong to the first decade of the following century. The restoration process required a thorough study of both the materials used – achieved through a detailed survey of the entire decorated surface – and the techniques required for the accurate restoration of a decoration that is virtually unique in the heart of the city centre. In addition to this significant work, historical archival research has been conducted on a building with ancient origins, predating the 15th century, which served as the seat for the old Ospedaletto dei Santi Marco e Vittore (Hospital of Saints Mark and Victor).
Il restauro del Palinuro di Arturo Martini: nuove considerazioni sull’ultimo capolavoro del maestro trevigiano
Chiara Marin, Valentina Piovan
ABSTRACT
Il recente restauro dell’ultima monumentale impresa del maestro trevigiano Arturo Martini, il Palinuro, è stato occasione per una rilettura della documentazione relativa alla commessa dell’opera e per ricostruire le diverse vicende che hanno portato alla sua attuale collocazione ai piedi dello Scalone del Sapere di Palazzo del Bo, in posizione estranea agli originali intenti dello scultore, il quale ne aveva invece previsto il posizionamento all’aperto. Oltre a puntualizzare i ruoli dei protagonisti di questa vicenda, nella trasmissione orale oggi spesso confusi, la ricerca archivistica congiunta all’analisi diagnostica, ha permesso di far luce su alcune precise scelte stilistiche dell’artista, dettate dalle sue stesse recenti riflessioni sulla fine della scultura tradizionale, solenne e simbolica, cui con quest’opera Martini pare eccezionalmente disattendere.
The recent restoration of the Treviso master Arturo Martini’s last monumental endeavor, the Palinuro, was an opportunity for a re-reading of the historical documentation related to the commissioning of the work. The study made it possible to reconstruct the various events that led to its current location at the foot of the Scalone del Sapere (Staircase of Knowledge) in the Palazzo del Bo. It is currently in a position unrelated to the original intentions of the sculptor, who had instead planned its placement outdoors. Archival research combined with diagnostic analysis has also made it possible to pinpoint the roles of the protagonists of this affair, which have long been confused in oral transmission. Some stylistic choices have been appropriately traced back to Martini’s reflections on the role of sculpture in the present and on its presumed end, which the artist himself seems to contradict with this last masterpiece.
Maria Elisabetta Gerhardinger
ABSTRACT
Un caso fortuito ha fatto emergere un notevole corpus ancora inedito di disegni di Gino Rossi degli anni del suo ricovero al Sant’Artemio, venduti intorno al 1985 da Nerina Crétier vedova di Bepi Mazzotti. Si tratta di un centinaio di fogli spesso disegnati fronte/retro, dei quali solo qualcuno già noto. L’artista, con padronanza e coerenza di segno, vi riportò memoria di opere fondamentali della sua cultura visiva, elaborò reminiscenze di proprie opere e appuntò nuove suggestioni. Su carte varie e di recupero (alcune firmate, altre con le sole iniziali o manoscritte) usò matite e pastelli a cera colorati: i soggetti sono quasi esclusivamente figure, teste, dettagli di corpi. Sebbene non si tratti di opere d’arte compiute, nel corpus sono evidenti nuclei distinti e “linee evolutive” del percorso mentale dell’artista. In prospettiva di un catalogo scientifico, si anticipano alcune note preliminari, utili all’indagine sul rapporto di Gino Rossi, pur malato e ricoverato, con il linguaggio visivo.
A fortuitous discovery has brought to light a significant, unpublished corpus of drawings by Gino Rossi from the years of his stay at Sant’Artemio, sold around 1985 by Nerina Crétier, widow of Bepi Mazzotti. There are about a hundred sheets, often drawn on both sides, among which only a few are already known. The artist, with mastery and consistency of style, recalled fundamental works of his visual culture, elaborated reminiscences of his own works, and jotted down new inspirations. On various types of paper (some signed, others with only initials or handwritten), he used colored pencils and wax pastels: the subjects are almost exclusively figures, heads, and details of bodies. Although they are not completed works of art, distinct nuclei and “evolutionary lines” of the artist’s mental journey are evident in the corpus. In anticipation of a scholarly catalog, some preliminary notes are provided, useful for investigating Gino Rossi’s relationship with visual language, even while sick and hospitalized.
Il carteggio ritrovato. Le lettere di Nando Salce a Edmond Sagot
Mariachiara Mazzariol
ABSTRACT
Il contributo intende presentare il ritrovamento di 23 lettere, inviate negli anni 1903-1924, da Nando Salce (1877-1962), collezionista trevigiano di manifesti pubblicitari, a Edmond Sagot (1857-1917), libraio e venditore di stampe attivo a Parigi dal 1881, in seguito leader nel mercato delle affiches. La raccolta è conservata nel fondo “Sagot-Le Garrec” della Biblioteca dell’INHA (Institut national d’histoire de l’art) a Parigi. La documentazione permette di integrare il già noto archivio della corrispondenza del collezionista, pervenuto assieme all’imponente raccolta di manifesti illustrati. Entrambi sono stati donati allo Stato italiano nel 1962 e sono al Museo nazionale Collezione Salce a Treviso. Le lettere ritrovate a Parigi permettono di ricomporre parte del carteggio originale, aggiungendo nuovi dettagli sulle modalità di acquisizione e conservazione dei manifesti utilizzate da Nando Salce. Rivelano anche ulteriori interessi culturali e artistici del collezionista.
This contribution intends to present the discovery of 23 letters, sent in the years 1903-1924, by Nando Salce (1877-1962), a collector of advertising posters from Treviso, to Edmond Sagot (1857-1917), a bookseller and print seller, active in Paris since1881, later market leader in the field of advertising posters. The collection is part of the ‘Sagot-Le Garrec’ fund, kept in the Library of the INHA (Institut national d’histoire de l’art) in Paris. The documentation provides an addition to the collector’s already well-known archive of correspondence together with his impressive collection of illustrated posters. Both were donated to the Italian State in 1962 and are kept in the National Salce Collection Museum in Treviso. The letters found in Paris make it possible to reassemble part of the original correspondence, adding new details about the acquisition and storage of Nando Salce’s posters. They also shed further light on the collector’s several cultural and artistic interests.
La fotografia digitale e i luoghi d’arte
Arcangelo Piai, Corrado Piccoli
ABSTRACT
Da più di 150 anni la fotografia è un mezzo insostituibile per la divulgazione dell’arte, in tutte le sue espressioni, influenzando il nostro modo di vedere, conoscere e studiare le opere. La fotografia digitale oggi permette di realizzare immagini di alta qualità in modo più agile e controllato che con la pellicola. La tecnologia fornisce in tempo reale immagini che aiutano i restauratori o guidano i visitatori verso dettagli altrimenti non visibili; tuttavia, oltre alle competenze tecniche, sensibilità e lavoro di squadra sono essenziali per evitare di ridurre la presentazione dell’arte a mera tecnicità. Dopo una sintesi della storia della riproduzione d’arte proponiamo alcuni casi di studio emblematici per il rapporto tra fotografia, innovazione tecnologica e arte. Concludiamo con un lavoro che ci ha impegnato nel fotografare in digitale gli affreschi della Pieve di San Pietro di Feletto, mettendo a confronto il nostro approccio a quello di Elio e Stefano Ciol, che hanno fotografato in pellicola gli affreschi dopo il restauro completato nel 2002.
For over 150 years, photography has been an irreplaceable medium for the dissemination of art, in all its expressions, influencing our way of seeing, knowing, and studying artworks. Digital photography today allows for the creation of high-quality images in a more agile and controlled manner than with film. Technology provides real-time images that assist restorers or guide visitors to details otherwise not visible; however, beyond technical skills, sensitivity and teamwork are essential to avoid reducing the presentation of art to mere technicality. After a brief overview of the history of art reproduction, we propose some emblematic case studies regarding the relationship between photography, technological innovation, and art. We conclude with a project that engaged us in digitally photographing the frescoes of the Pieve di San Pietro di Feletto, comparing our approach to that of Elio and Stefano Ciol, who photographed the frescoes on film after the restoration completed in 2002.